l'autorità del Corano e lo status della Sunnah

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La serie IIIT è una preziosa collezione delle pubblicazioni principali dell'Istituto scritte in forma sintetica, progettata per dare ai lettori una comprensione di base dei principali contenuti dell'originale.

Redatti in forma breve, facili da leggere, con un formato che fa risparmiare tempo, questi compendi offrono una panoramica, fedele e scritta con attenzione, della più ampia pubblicazione e speriamo che stimolerà i lettori ad ulteriori approfondimenti dell'originale.

Ristabilire l'equilibrio: l'autorità del Corano e lo status della Sunnah chiarisce la relazione tra la Sunnah', i detti e le azioni del Profeta (SAAS)*, e il Corano. Questa relazione è stata descritta in vari modi, dando origine a diverse forme di conoscenza ed esperienza, cosi da influire, sul modo in cui gli studiosi di Hadith esaminano la Sunnah.

Di conseguenza, le scuole islamiche di pensiero - sia giuridiche che filosofiche - hanno acquisito posizioni diverse riguardo le narrazioni della Sunnah che riflettevano il contesto di vita pratica degli studiosi suddetti. Analogamente, le differenze nel classificare un determinato narratore come affidabile o inaffidabile riflettevano principi giuridici, teologici o filosofici diversi che possono portare alcuni a rifiutare un narratore, approvandone un altro, ad accettare un hadith respingendo O reinterpretando quelli che lo contraddicono, o ad accettare o rifiutare icriteri per criticare il contenuto dei racconti degli hadith. Il problema di come affrontare la Sunnah non era ancora sorto ai tempi del Profeta, che aveva istruito i suoi seguaci a emularlo nel modo in cui lui aveva aderito al Corano. Fu lui che mostrò loro come mettere in pratica il Corano, attuando con un comportamento concreto i suoi insegnamenti e applicandoli come guida nella vita. Il Corano fornisce la spiegazione di tutto, mentre l'esempio del Profeta fornisce una dimostrazione completa di come applicare gli insegnamenti del Corano.

Al fine di garantire che la Sunnah adempisse al ruolo pratico per il quale era stata prevista, il Profeta sconsigliò alla comunità musulmana di occuparsi di qualsiasi testo che non fosse il Corano, anche se rivendicava l'autorità divina per questo. Tuttavia, una volta che la Sunnah era stata raccolta, la comunità musulmana cominciò a trascurare il Corano in favore di narrazioni su ciò che il Profeta aveva fatto e detto, con il pretesto che questi racconti "contenevano" il Corano. Alla fine iniziarono a trascurare le narrazioni della Sunnah in favore della giurisprudenza islamica, con il pretesto che i testi giuridici islamici tacitamente includevano sia il Corano che la Sunnah. Questo libro è una risposta a questa grave situazione, affrontando direttamente polemiche e disaccordi tra coloro che si occupano dello studio della Sunnah profetica e della tradizione islamica. Il libro propone una serie di criteri per sostenere gli studiosi nella missione critica di ristabilire il rapporto tra la Sunnah profetica ed il Corano. La Sunnah profetica deve essere legata indissolubilmente al Corano in modo da non permettere alcuna contraddizione o conflitto tra i due, e in un modo che consenta all'Islam di affrontare fruttuosamente le sfide sociali, economiche, intellettuali e spirituali vigenti e che i musulmani affrontano nella loro vita quotidiana.

Capitolo Primo

Profezia e i doveri del Profeta

Il Profeta come Messaggero e Essere Umano

Il messaggio finale di Dio comprende le esperienze di tutti i profeti precedenti. Il Corano ci presenta molte di queste esperienze e affronta le differenze tra la profezia e la divinità, nel timore che la nuova comunità di fede ripeta gli errori di nazioni precedenti che avevano perso la capacità di distinguere tra profezia e apostolato da un lato, e tra signoria e divinità, dall'altro, nonché tra libero arbitrio umano e predestinazione divina. Per quanto riguarda il concetto di profeta, il Corano pone l'accento sull'umanità del Messaggero e sulla necessità di obbedire a qualsiasi comando egli abbia ricevuto da Dio. Il Messaggero mise in guardia la gente dal venerarlo eccessivamente. Le parole arabe per Profeta (nabi) e Profezia (nubuwah) derivano dalla radice n-b-', che significa essere elevati, alti o eminenti. Tuttavia, ad un certo punto la comunità musulmana si trovò in uno stato di tale discordia che i suoi membri si approcciarono in modo diverso al Profeta. Tra i beduini arabi, qualcuno pensava a lui come nient'altro che a un capo tribù. Tornando al concetto di profeta, tra ebrei e cristiani, il profeta era un individuo ispirato il quale informava gli altri circa il regno dell'invisibile. In antico ebraico il termine usato per profeta veniva impiegato per riferirsi a qualcuno che parlava di questioni legali. Tra i musulmani, il termine nabi si riferisce a qualcuno a cui Dio ha dato una rivelazione.

La parola araba usata per messaggero, rasul, deriva dal verbo arsala, che significa inviare. Il verbo arsala è usato in un contesto negativo in Sürah Maryam, dove viene utilizzato per riferirsi all' "incitare con forza" le forze sataniche da parte di Dio contro coloro che volontariamente non credono. La differenza tra l'invio (irsal) di Dio dei Suoi profeti e il Suo incitare con forza (anch'esso irsal) le forze sataniche 

contro i Suoi nemici è che nel primo caso, Egli manda i Suoi profeti ad

avvertire gli altri del giudizio che verrà.

Il Corano distingue tra profeta e apostolo, o messaggero. Sia il profeta che il messaggero hanno ricevuto un messaggio rivelato da Dio.

Tuttavia, il messaggio che è stato rivelato ad un messaggero (rasil) è di natura legislativa, mentre la rivelazione data al profeta (nabr) non contiene una nuova legislazione. La funzione del profeta o nabi, è quella di insegnare e guidare gli altri invitandoli a seguire il messaggio portato dai messaggeri che sono venuti prima di lui. La profezia comporta una missione pedagogica; quindi un profeta è subordinato ai messaggeri che lo hanno preceduto.

Il Corano distingue ulteriormente tra il profeta e il messaggero, operando un'altra distinzione basata sulla nozione di quella che viene definita in arabo come ismah, che può essere tradotto con "protezione divina". Ai profeti non è concessa tale protezione. Piuttosto, come tutti gli altri esseri umani, alcuni di loro sono stati uccisi. Non è loro concessa nemmeno la protezione divina dalle debolezze e dai difetti umani, come l'errore, la dimenticanza, e la disobbedienza.

La 'ismah o protezione offerta ad un messaggero è caratterizzata da due aspetti: la protezione dall'essere ucciso e la protezione contro gli errori quando annunzia le parole del messaggio rivelato. La rivelazione viene così preservata, sia nella memoria del messaggero che nel modo in cui viene pronunciata, così che non ci possa essere alcun errore nel processo di trasmissione ad altri. Quando un messaggero finisce di comunicare il messaggio, il suo ruolo di messaggero volge al termine e inizia il suo ruolo di profeta. Poi il profeta deve agire sul messaggio rivelato, insegnarlo agli altri, invitarli ad accettarlo e applicarlo loro stessi.

Tuttavia, la Profezia non negava l'umanità del profeta. Piuttosto, gli accordava il ruolo di sapiente e di maestro. Nemmeno quando un profeta diveniva un messaggero si negava la sua umanità o il suo compito come profeta. Piuttosto, mantenendo la sua piena umanità e il suo ruolo profetico, assumeva altrettanto il ruolo di messaggero, dicendo su ordine di Dio: "Non sono altro che un uomo come voi" (Surah al-Kahf, 18:110). Inoltre, dal momento che la Profezia conferisce il carattere di insegnante, e dal momento che i profeti sono i sapienti più illustri, di conseguenza i profeti sono i più qualificati fra tutti ad impegnarsi nello sforzo interpretativo (iitihad) del messaggio 

divino. Il profeta si impegna nell' jtihad quando insegna, deduce norme e raccoglie informazioni dal messaggio donato divinamente e quando invita gli altri ad abbracciarlo e a praticarlo. Se, d'altra parte, egli è

¡anche) un messaggero, egli utilizza il messaggio che gli è stato rivelato.

Quindi, fatte queste tre distinzioni tra un profeta e un messaggero rispetto al messaggio portato, in rapporto al tipo di protezione offerta e alla pratica dell'ijtihad, viene generalmente convenuto che un messaggero è un profeta al quale è stata rivelata la legislazione divina, e che un profeta è subordinato ad un messaggero, da qui il principio che "ogni messaggero è un profeta, ma non ogni profeta è un messag-gero". La profezia è legata al tempo e al luogo, mentre l'apostolato è universale e perpetuo dopo la morte della persona che ha esercitato questo ruolo. Stabilita questa distinzione, si può dire che la missione profetica di Muhammad era per gli arabi, mentre la sua missione apostolica è per tutte le persone in tutto il mondo.

Profeti nel Corano

Il Corano espone le linee generali per esaminare e rispondere ai profeti.

Il Corano riabilita anche i profeti che sono venuti ai figli d'Israele dalle false accuse che erano state mosse contro di loro, e sottolinea la loro piena umanità in Surah al-Anbiva (21:7-8). Sia il Corano che la Sunnah affermano l'infallibilità ('ismah) dei profeti, per cui nessun vero profeta potrebbe commettere un peccato grave. Dopo tutto, per poter conseguire gli scopi per cui sono stati inviati, i profeti devono essere degni di emulazione.

Come mostrato nella Surah al-Ambiya' (21:92), i profeti di Dio costituiscono "un'unica comunità" rispetto ai loro messaggi, la fonte da cui questi messaggi sono giunti, la loro richiesta di adesione a ideali dati da Dio e di auto-purificazione e il loro appello, pongono le fondamenta della civiltà umana sulla Terra. Il Corano stabilisce i punti di comunanza e di differenza tra i profeti e messaggeri. Analogamente, mostra le costanti e le variabili nei messaggi che hanno portato, in particolare attraverso quattro dimensioni importanti: dottrina, valori umani e morali, legge rivelata divinamente e interazioni umane nella società. Tuttavia, le leggi minuziose e di nuova formulazione differiscono da una società all'altra in base alle variabili di tempo e luogo.

Gli studiosi dei fondamenti della giurisprudenza islamica sono divisi in almeno tre categorie per quanto riguarda la questione se gli atti di culto in cui era impegnato il Profeta, prima e dopo aver ricevuto la sua chiamata divina, erano basati sulle leggi e sulle tradizioni che