MO FICLIO MUSULMANO MARTIRE IN SIRIA

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CARLO DELNEVO

Ispirato dalla storia di suo figlio Ibrahim Giuliano, narrata in questo libro ha intrapreso un profondo percorso personale che lo ha portato all'Islam. Nella sua vita professionale è stato prima insegnante nelle scuole italiane all'estero e infine funzionario di vendita per una rinomata azienda italiana. Negli ultimi si è dedicato alla traduzione di diversi saggi ed alla collaborazione con il quotidiano

La Luce di cui è uno degli editorialisti di punta.

Quando suo figlio Giuliano Ibrahim lasciò l'Italia per unirsi alla resistenza contro il regime siriano, Carlo Delnevo non immaginava che quel viaggio avrebbe trasformato anche la sua vita. La vicenda di Giuliano, un giovane uomo che abbracciò l'Islam e scelse il sacrificio per un ideale, ha cambiato per sempre il cuore di suo padre, conducendolo a una profonda conversione spirituale.

In questo libro intenso e intimo, Carlo Delnevo ripercorre la storia di Giuliano: dagli anni spensierati dell'infanzia ai drammatici giorni della guerra in Siria, fino al suo tragico epilogo. Ma il racconto non si ferma lì. Dopo anni di sofferenza e resistenza, la rivoluzione in Siria ha trionfato, portando la caduta del regime degli Assad e una nuova speranza per il popolo siriano.

Un'opera che intreccia fede, amore paterno e il desiderio di giustizia, offrendo una potente testimonianza sul valore del sacrificio.

Prefazione di Roberto Hamza Piccardo

Sono passati 10 anni da quando scrissi con il cuore gonfio di pena quella breve premessa a questo libro e sono successe tante cose. La pena era per Carlo beninteso, ché per il caduto sulla Via un musulmano non prova pena ma ammirazione e rispetto.

Ora uno dei comandanti di Giuliano Ibrahim è il presidente de facto della Siria. Neanche i più fantasiosi e originali tra gli analisti politici avrebbero mai azzardato un epilogo tanto inaspettato, una fine tanto ingloriosa e perfino grottesca di un regime che della spietatezza e della ferocia aveva fatto la colonna portante del suo potere.

Ultimo tra i regimi bathisti che avevano sconvolto, le culture tradizionali di Paesi in cui batteva il cuore stesso dell'Islam e speculava la sua mente, la satrapia degli As-sad in Siria è implosa miseramente dopo aver ridotto gran parte di un popolo fiero e colto, alla miseria, all'emigrazio-

ne di massa, alla condizione di profugo negli Stati vicini, non sempre bene accolto e rispettato.

Tornando a Giuliano, il suo sacrificio giganteggia sulla pochezza codina dei tanti, troppi politici e giornalisti di regime e anche di alcuni tra quelli che avrebbero dovuto essergli solidali o almeno non precipitarsi alla dissociazione.

Politici che oggi vanno in pellegrinaggio a Damasco nella speranza di fare affari con il nuovo governo. Pennivendoli che gli affibbiarono i peggiori titoli e aggettivi.

Gente senza memoria purtroppo, forse perché non conoscono neppure la nostra Storia o la ignorano volutamente e non parliamo di quella degli altri. Se avessero conosciuto almeno la nostra, politici e giornalisti, avrebbero dovuto ricordarsi della guerra civile spagnola alla quale parteciparono italiani come Carlo Rosselli, con una Colonna che portava il suo nome.

Quelli furono sconfitti ma gli ideali che li avevano mossi rimasero, attraversarono gli orrori della guerra che coinvolse tutta l'Europa e trionfarono infine e impiantando qualche decennio di democrazia che ora, ahinoi, sembra volgere al tramonto. Gli ideali di Giuliano Ibrahim non erano gli stessi, da credente e praticante nell'Islam era naturalmente convinto che in un Paese in cui i tre quarti della popolazione era musulmana e sunnita fosse proprio in quella fede e pratica che si sarebbe potuto sconfiggere l'ingiustizia che la governava da fin troppo tempo.

E così è stato infine e solo oggi il mondo accetta di prendere coscienza di aver convissuto per decenni con un sistema di orchi cattivi, mafiosi e torturatori come pochi altri.

Giuliano Ibrahim già ne aveva contezza e non si era limitato alla disapprovazione nel cuore e neppure gli sarebbe bastato levare alta la condanna verbale. Lui come i migliori ha messo in gioco la sua giovane vita con l'azione e ha avuto il martirio che è l'estrema, assoluta testimonianza.

I siriani ora stanno tornando nella loro terra e se li si lascerà in pace sapranno lavorare tutti insieme, risollevarsi e riportare il Paese alla dignità che gli era propria e alla sua potenziale prosperità materiale.

E quel che mi preme di più è pensare che, anche confrontandolo con il piccolo respiro della cronaca di questo seco-1o, il sacrificio di Giuliano Ibrahim non è stato vano.

Introduzione

Nei giorni a cavallo fra la fine di novembre e l'inizio di dicembre del 2012 mio figlio Giuliano si imbarcava su un volo diretto ad Istanbul, e da lì si recò ad Antiochia, città turca ai confini con la Siria, per poi passare, Dio solo sa come, la frontiera e sparire nel gigantesco Maelstrom che è stata la guerra civile siriana di quegli anni, anni anch'essi ormai discretamente lontani.

Aveva cercato di tranquillizzarmi con una pietosa bugia - vado in Turchia per contatti con altri musulmani

- alla quale anche se di malavoglia avevo voluto cre-dere. Nel giugno dell'anno seguente Giuliano cadde da valoroso in uno scontro con la montante marea sciita libanese accorsa in difesa del satrapo di Damasco.

Quell'intervento, combinato al soccorso, soprattutto aereo, russo, e al decisivo supporto iraniano, riuscì a salvare il potere alawita incarnato dalla famiglia Assad in Siria per altri lunghi anni, quasi dodici.

Nel dicembre appena trascorso, con meraviglia, immensa gioia, timore, e un pizzico di incredulità, ho potuto vedere i ribelli entrare prima nel palazzo presidenziale di Aleppo e poi, città dopo città, prosegui-re, fino a che tutto quel tragico e crudele castello è crollato, e una Siria risvegliata da un incubo durato oltre cinquant'anni è scesa in piazza pazza di gioia 

sofferenza, si aprivano e si svuotavano di quella straziata umanità che, quasi per miracolo, era riuscita a sopravvivere ad anni di puro orrore.

Ed ora, grazie ai ribelli vittoriosi, se Dio vorrà, come noi musulmani diciamo, inshAllah, farò quello che avrei tanto voluto fare in questi anni in cui lui si è sottratto materialmente ai miei sensi, ma che non mi è stato possibile fare. Assad non regna più a Damasco e in Siria e per me sarà finalmente possibile recarmi laggiù in quella terra tanto importante nella storia dell'Islam, per respirare l'aria che lui ha respirato, per sentirne ancora più intenso il profumo, il profumo di quel mio ragazzo, di quel mio figlio musulmano.

Con Giuliano in Siria, come ho scritto nelle pagine che seguono, e di cui queste righe rappresentano una seconda ed aggiornata introduzione, grazie al supporto di Skype, avevo potuto mantenere un contatto telefonico, anche se giocoforza un po' discontinuo, fruttuoso e frequente. Il contatto si interruppe definitivamente con l'ultima drammatica conversazione alla sera dell'11 giugno del 2013.

In quelle ore, mentre il mondo indifferente continuava il suo girotondo, mio figlio andava incontro al suo destino, e di quel giovane uomo di ventiquattro ann, che avevo visto nascere, che avevo accompagnaro negli anni difficili ma bellissimi dell'infanzia, dell a-dolescenza, e della giovinezza, non avrei più avio notizia.

Eppure quel ragazzo, in modo misterioso, durante tutti questi anni non se n'è mai andato dal mio cuore di padre; mi ha accompagnato ogni giorno, dal primo risveglio mattutino all'ultimo pensiero prima della notte. Lui, sempre lui, dono di Dio, e come tutti i Suoi doni, immeritato e stupendo.

Scrissi questo libro una decina d'anni orsono. Lo scrissi quando ormai da più di un anno, accogliendo l'appello alla conversione di Giuliano, avevo recitato la shahada e avevo abbracciato l'Islam.

All'epoca pochi avevano capito e apprezzato la sua scelta. Il mondo della destra e i media collegati l'avevano subito liquidato come "terrorista",

', l'allora

presidente del consiglio, un ambiziosissimo e rampante Matteo Renzi, lo aveva definito, in una trasmissione televisiva, un cattivo esempio per i giovani. Ma anche nella comunità musulmana italiana, la umma, in molti avevano fatto a gara per prendere le distanze da lui. Per non parlare poi degli sciagurati che su di lui sputarono il veleno del risentimento perché di fatto partigiani di quel tragico e orrendo regime che governava la Siria.

Fino al terremoto esistenziale che è stata la vicenda di mio figlio, l'Islam fu per me una religione fra le altre; un po' più significativa se vogliamo, poiché la vita mi aveva portato a trascorrere per lavoro lunghi periodi in paesi dove i musulmani certo non mancavano e non mancano: la Libia, la Nigeria, l'Algeria. Mi piaceva sentire ad Algeri l'adhan, il richiamo alla preghiera, che li risuona e rimbalza di quartiere in quartiere cinque volte al giorno, e spesso provavo a quelle urlate parole per me arcane una strana inquietudine.